Una dottoressa viene uccisa a coltellate davanti all’ospedale Sant’Omero di Teramo. È il 21 giugno 2017 quando l’uomo che ha stalkerato la donna per mesi decide di compiere il gesto omicida, prima di togliersi la vita. Un fatto di cronaca nera che in teoria dovrebbe accomunare le coscienze su un tema sensibile, la violenza di genere, diventa il pretesto per un picco di odio verso le donne come non se ne era visto nei mesi precedenti. Sono 3.500 quel giorno i tweet misogini “cinguettati” da vari account in tutta Italia.
È quello che hanno scoperto gli analisti di Vox – Osservatorio italiano sui diritti e diverse università italiane che hanno mappato 6,5 milioni di tweet tracciati e geolocalizzati in 10 mesi a cavallo fra maggio-novembre 2017 e marzo maggio-2018. Il risultato finale della ricerca è la terza edizione de “La Mappa dell’intolleranza”, i cui risultati sono stati presentati nella serata del 25 giugno all’Università degli Studi di Milano in via Festa del Perdono, moderata da Marilisa D’Amico, ordinario di diritto e costituzionale e co-fondatrice di Vox.
Xenofobia, antisemitismo, islamofobia, odio verso le donne e gli omosessuali, intolleranza per i disabili: è questa la fotografia dell’Italia che odia online (e a volte offline). L’individuazione dei diritti calpestati e degli abusi social è stata seguita dal dipartimento di Diritto pubblico dell’Università Statale di Milano, mentre l’ateneo “Aldo Moro” di Bari ha sviluppato il cuore tecnologico del progetto: algoritmi e intelligenze artificiali in grado di individuare e filtrare dagli usi semantici ironici o ambigui 76 parole ed espressioni “sensibili”, estratte attraverso questionario dagli psicologi della Sapienza di Roma. L’interpretazione dei dati raccolta è stata affidata al dipartimento di Sociologia della Cattolica di Milano e al gruppo di lavoro Itstime, centro di ricerca su sicurezza, terrorismo e gestione delle emergenze che fa capo al polo meneghino.
“Si odia, ma si odia in gruppo” ha dichiarato Barbara Lucini, sociologa della Cattolica, durante la serata di presentazione nella sala crociera di via Festa del Perdono, dove sono state rese pubbliche mappe geografiche “termiche” che mostrano la maggiore concentrazione di tweet aggressivi nelle diverse aree del Paese. E si odia in maniera disordinata perché, ad esempio, “c’è una correlazione inversa fra presenza di cittadini stranieri musulmani sul territorio e concentrazione di tweet islamofobi” come ha fatto notare Silvia Brena, giornalista e co-fondatrice di Vox – Osservatorio italiano sui diritti, che ha messo in relazione i messaggi di astio verso l’Islam con i dati demografici del dossier Ismu. Tra le peculiarità della nuova mappa dell’intolleranza il fatto che “aumentano i tweet di odio ma concentrati nelle mani di meno profili” aggiunge Brena, una nota che fa pensare a veri e propri odiatori seriali in grado di polarizzare le posizioni attraverso il meccanismo a cassa di risonanza tipico di twitter, più ancora che di altri social network.
I numeri assoluti per le sei categorie di target raccontano che il gruppo sociale più odiato è quello delle donne, in linea con le rilevazioni degli anni precedenti, che passa dai 284.634 messaggi di odio nel 2016 ai 326mila odierni. Diminuisce l’astio verso disabili e omosessuali con questi ultimi a registrare il calo più corposo quasi del 50 per cento. Scrivono i ricercatori nei commenti a corredo della mappe che questa potrebbe essere una conseguenza delle “molte dichiarazioni pubbliche di personaggi famosi che hanno facilitato la visibilità del fenomeno e la sensibilizzazione sociale”.
Raddoppia l’odio verso i migranti in nemmeno un anno, passando da 38 mila tweet registrati nel 2016 a 73.390 mila nei dieci mesi 2017-2018 considerati. L’analisi dei picchi anche in questo caso mostra relazioni con casi di cronaca: il 19 giugno 2017 naufraga un gommone di fronte alla Libia. I morti sono 126. Di fronte ai cadaveri si assiste al punto più alto di rabbia verso. Stesso discorso nel 2018 quando il picco si raggiunge a cavallo fra 8 e 13 marzo: prima vengono arrestati tre scafisti in Puglia e infine un giovane eritreo muore per malnutrizione poco dopo lo sbarco a Pozzallo. Il sindaco del piccolo comune nel ragusano commenta la vicenda paragonando lo stato del migrante a quello delle vittime dei lager. E l’odio online esplode di fronte a queste affermazioni. In generale la somma dei tweet contro migranti, musulmani ed ebrei tocca il 37 per cento del totale nel 2018.
Oltre i numeri e quantità c’è chi si interroga sugli aspetti qualitativi del fenomeno. “Le parole dell’odio ruotano attorno alle identità corporee – spiega Vittorio Lingiardi, docente al dipartimento di Psicologia dinamica e clinica alla Sapienza di Roma –. Il corpo è il luogo dell’odio, nella sua umiliazione e nel suo deteriorarsi”. È quello che viene definito nella letteratura scientifica lo “stato della mente fascista che prevede la disumanizzazione dell’altro”, spiega il professor Lingiardi, “facendolo coincidere con una singola parte del corpo o una funzione”. C’è un aspetto nuovo: per Lingiardi “se in passato l’odio veniva custodito in segretezza e anche con vergogna” oggi si assiste all’esplosione della “legittimazione sociale”.
Sulla stessa linea le dichiarazioni di Giovanni Ziccardi, docente milanese di Informatica giuridica estraneo al progetto di Vox ma presente in sala crociera e che nel 2016 ha pubblicato il libro “L’odio online”. Ziccardi si interroga sul futuro di queste forme di intolleranza mettendo in luce una sorta di “gratificazione digitale dell’odio”. “Ci sono numerose persone che non odiano realmente ma hanno capito che l’odio viene valutato anche in termini performativi, di visibilità”, quella che il giurista definisce “la moneta del mondo digitale”, perché “la tecnologia non ha generato nuovo odio ma semplicemente cambiato il campo del visibile: la protesta di un piccolo comune in provincia di Ferrara per l’arrivo di una manciata di profughi sarebbe rimasta relegata alle cronache locali e invece diventa un affare nazionale”. Fra gli altri scenari preconizzati da Ziccardi anche “la morte dell’anonimato” proprio in virtù del riconoscimento sociale che l’hate speech comporta e “l’estremismo sempre più appannaggio di numerose fazioni, un aspetto questo che abbiamo già visto negli ultimi anni di dibattito politico-elettorale”. Tra gli elementi più caratteristici che il professore della Statale individua nelle forme di odio online quello del “rapporto squilibrato con la vittima: c’è un sommerso dell’80 per cento nelkle denunce e più in generale l’impatto di questo tipo di odio è molto più forte rispetto alle forme tradizionali di chi dichiara il suo disprezzo in faccia alla vittima”.
“Che cosa potrebbe andare storto in queste analisi?”, si domanda in chiusura Giovanni Semeraro, dell’Università “Aldo Moro” di Bari che con il suo gruppo di ricercatori ha sviluppato gli algoritmi che sono alla base della mappatura. “Che ogni nostra slide o presentazione – si risponde il docente – dovrebbe avere una dicitura in basso a destra che recita ‘Per gentile concessione di Twitter Inc. Corporation”. (Francesco Floris)
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