Non è facile scrivere di I filosofi e gli zingari, a cura di Leonardo Piasere e Gianluca Solla (Aracne 2018), libro indubbiamente complesso. Volendo abusare di un titolo celebre, potremmo dire che si tratti di briciole di filosofia, quelle di cui i saggi di questo volume si occupano. Il tema è difficile e disturbante: il nostro (e nostro nel senso di occidentale, europeo, liberale, democratico, colto, consapevole…) rapporto con gli zingari.
Un tema complicato, sempre attuale e sempre rimosso: ma non si tratta, in questo difficile percorso nella storia della filosofia moderna, semplicemente di occuparsi di stereotipi e pregiudizi contro un popolo senza patria e senza Stato, quanto piuttosto di far emergere le deboli tracce, i piccoli segni di una presenza-assenza: i nomadi, i rom, gli “slavi”, gli “egiziani”, gli zingari insomma non sono che un nome, un fantasma che emerge di tanto in tanto nei nostri pensieri, nelle nostre parole e, inevitabilmente, nelle parole e nei discorsi dei filosofi.
Questo libro non fa che ricordarci una cosa: questa minoranza così indigesta e disturbante, perseguitata eppure sempre “fuori luogo”, è, proprio perché al limite, allo stesso tempo sempre presente e sempre invisibile. Le nostre categorie del pensiero non sono mai riuscite a fare i conti con questa assenza-presenza. Gli zingari sono un tabù, nonostante i crimini del Novecento, e la cui voce è tuttora non udibile. Allo stesso tempo, essi rimangono sul limite, sono un popolo-senza-legge che non fa che ricordarci i nostri, eterni limiti. Da Lutero a Deleuze, da Kant a Jankélévitch, abbiamo con questo volume un lungo catalogo di buchi, di fraintementi e di odi: gli zingari sono degli eterni banditi che devono essere di nuovo banditi e sono condannati a essere il simbolo stesso dell’antimodernità.
Gli zingari – nome che contiene già in sé una incomprimibile disprezzo e una inevitabile diversità – sono allo stesso tempo vittime e criminali. Le loro mancanze (il loro essere “senza” e, in particolare, senza una origine) li hanno resi dei fantasmi, delle ombre eppure pesantissime.
Siamo ormai oltre – e dobbiamo cercare di rimanere il più possibile – lontani dalla cronaca minuta e dal “dibattito” politico, così come dal razzismo e dall’antirazzismo. Lo dimostra bene il rapporto (né di vicinanza, né di lontananza) fra i due gruppi più perseguitati della storia moderna: gli zingari appunto, e gli ebrei. Entrambi sono stati discriminati e sterminati, eppure dopo il 1945 le loro strade si sono in qualche modo divaricate nella percezione che ha di essi il senso comune. Oggi non resta che una generica, inutile equiparazione fra i due generi di “vittime”, resta soltanto una vaga somiglianza. D’altra parte, non a caso la Cultura europea (e quella antisemita e antizigana in primo luogo) ha generalmente sempre distinto fra gli ebrei (ipermoderni) e gli zingari (antimoderni). Gli zingari, poi, non hanno mai avuto né avranno mai una terra promessa: il loro nomadismo non vive di una origine mitica, né di una utopia: essi rimangono, nella loro pura presenza, come un lampo, che sempre di nuovo illumina i nostri vuoti e i nostri limiti.
Per questo si può dire che gli zingari non esistono.