“I ciechi sognano? Sognano a colori o in bianco e nero? Sognano per immagini, suoni, odori, emozioni, ricordi?”. Queste domande hanno iniziato a ronzare nella testa del fotografo Gabriele Fiolo e lo hanno portato a costruire il progetto “The dark sight of photography”, realizzato a Dar Es Salaam, in Tanzania, con persone cieche e ipovedenti e fino al 10 settembre esposto alla fiera di Bologna, nell’ambito della Festa dell’Unità al padiglione 38. (GUARDA LA FOTOGALLERY)
“L’idea è nata dal vuoto emozionale che mi aveva lasciato la mostra precedente, nella quale avevo lavorato con più di 300 artisti tra Tanzania e Kenia – racconta il fotografo”. Con “Dreams&Selfie” l’obiettivo era raccontare i sogni di queste persone. Fra loro c’era anche un artista albino ipovedente. Da lì un’intuizione che, per contrasto, ha portato il fotografo di origini marchigiane a riflettere, anche sulla natura del suo lavoro. Si è documentato, ha parlato con persone che vedono poco o niente e ha deciso di provare a creare per loro strumenti che permettessero di tirare fuori “le immagini che tutti abbiamo dentro”.
I laboratori hanno coinvolto una trentina di ragazze e ragazzi in alcune scuole e centri per persone con disabilità dell’ex capitale, rimasta la città più importante dal punto di vista economico e si sono svolti in collaborazione con Cefa onlus, che in Tanzania cura diversi progetti a sostegno di persone con disabilità e per combattere le discriminazioni contro chi è affetto da albinismo.
“Sono stato per loro un tramite”, continua Fiolo, raccontando come si sono svolti i workshop da cui sono scaturiti gli scatti oggi esposti su 12 pannelli bifacciali alla fiera di Bologna. “Anche i ciechi vedono quello che vediamo noi, ma con gli occhi chiusi, poi possono collegare un’emozione a un’immagine”. Per “farla emergere” il fotografo ha creato quelli che lui chiama “pennelli di luce”: “Fibre ottiche, torce, gelatine, tubi di gommapiuma con luci all’interno”, spiega. Il primo giorno i partecipanti ai laboratori ideati da Fiolo “toccando i pennelli si facevano un’idea e io descrivevo che tipo di luce producevano, con tutti i colori, e dopo in autonomia sceglievano quali usare. Il secondo giorno chiedevo di venire con delle idee di immagini che provocassero loro un’emozione forte. Ogni scatto che hanno fatto evoca l’emozione dell’autore”. Non si scatta in fretta, come siamo abituati a fare con l’obiettivo digitale, ci sono voluti alcuni minuti di esposizione per realizzare ogni fotografia, per “scrivere con la luce”, come sottolinea Fiolo ricordando l’etimologia della parola. Ogni autore ha poi pazientato per realizzare il proprio scatto, “agitando delle forme davanti all’obiettivo” e realizzando dei “tracciati di luce”.
“Sono partito dall’idea della fotografa Lisetta Carmi, è l’anima che vede”, continua Fiolo che per un mese si è immerso nello stesso ambiente percettivo dei ragazzi, lavorando al buio. L’obiettivo era dimostrare che anche le persone con disabilità visiva possono esprimere attraverso la fotografia, “disegnando con la luce”, le loro esperienze ed emozioni. “Una ragazza di nome Nuru, ‘luce’ in lingua swahili, ha fatto il ritratto di un amico cieco – racconta. Un altro ragazzo ha scelto l’immagine di una palma, di cui apprezza l’ombra e il fresco che gli dà. Quando mi ha chiesto se nel risultato fotografico c’erano i frutti, mi sono stupito e gli ho risposto che non c’erano. Lui ha detto: bene, perché non volevo mi cadessero in testa…”.
Fotografare con loro è stata un’occasione per “riappropriarsi della lentezza che manca nell’era del digitale, lavorando con la macchina fotografica come con una cinepresa, in modo che quello che veniva tracciato con i pennelli di luce davanti all’obiettivo venisse fuori, dal movimento alla forma”.
Per far immedesimare il pubblico, le didascalie sui pannelli sono state realizzate con un tratto debole, che porta le persone a farsi più vicine per leggere meglio.
“Nel padiglione in cui si trova la mostra ho potuto seguire il percorso fatto da alcune visitatrici americane. Ho notato che percorrevano la mostra al contrario – conclude Fiolo. Alla fine, arrivate alla foto che ho scelto come inizio e come icona della mostra, si sono fotografate con alle spalle ‘The voice’, l’opera di Zura, cantante cieca”. Fiolo ha già portato la mostra, in allestimenti ogni volta diversi, a Bruxelles, durante gli European development days, al Festival internazionale del cinema di Zanzibar e, in Italia, al Festival dei popoli di Thiene.
Di Benedetta Aledda