ROMA – Arci Servizio Civile ha reso noto un quarto focus del suo monitoraggio nazionale, che ha riguardato 1.830 giovani in servizio a partire dal 2017 nei suoi progetti in Italia e all’estero. Al centro dell’approfondimento il tema delle attività di progetto e l’impegno dei volontari. “In media – secondo quanto segnala ASC – i giovani svolgono il loro servizio per 32 ore settimanali, dato leggermente superiore alle 30 ore di prassi: circa il 10% dei volontari supera tale soglia, di cui la metà è impegnata per oltre 35 ore”. Positivo (8,2 su una scala di 10) poi il giudizio che i volontari danno sulla corrispondenza effettiva delle attività che svolgono rispetto a quanto previsto nel progetto.
“La maggior di chi opera nei settori della Cura della Persona e dell’Educazione e Promozione culturale, (dove è coinvolta la gran parte dei giovani) esprime un giudizio ancor più positivo della media, mentre in altri settori (che vedono presenze numeriche molto inferiori) come Ambiente, Estero e Patrimonio Artistico e Culturale, i termini sono sempre positivi ma di grado leggermente inferiore rispetto alla media”, spiega ASC.
Un ulteriore approfondimento è stato fatto sulla figura dell’Olp (Operatore Locale di Progetto), sul suo ruolo e la relazione con i giovani volontari. “Il 92% valuta positivamente il ruolo di coordinamento dell’Olp. Mediamente, oltre il 50% dei giovani lo incontra tutti i giorni e circa il 30% almeno due/tre volte a settimana”, dettaglia la ricerca.
Secondo Asc, “sono dati in linea con gli anni precedenti, nonostante l’aumento del numero di volontari e di progetti, che avrebbe potuto rendere più difficoltoso mantenere questi standard. Per quanto riguarda infine il grado di coinvolgimento il livello di partecipazione a riunioni dei gruppi di lavoro o ad iniziative pubbliche sfiora il 90%, con variazioni dovute alla specifica attività”.
Anche Caritas Italiana ha diffuso una ricerca sui suoi giovani in servizio civile dal 2001 al 2017, realizzata in occasione dei 40 anni di gestione degli obiettori di coscienza prima e dei volontari dopo, concentrandosi su quest’ultimi.
L’indagine ha voluto soffermarsi in particolare su due ambiti concettuali: da un lato il mutamento intervenuto nel profilo sociale, nelle motivazioni e nelle esperienze post-servizio dei giovani volontari, dall’altro l’impatto del servizio civile sulla dimensione locale, dal punto di vista ecclesiale e sociale. La ricerca ha avuto come unità di indagine un panel selezionato di 59 operatori “esperti” del servizio civile, attivi presso le Caritas diocesane.
Secondo una fetta consistente di intervistati, pari al 49,2%, “l’interesse dei giovani è andato aumentando nel corso degli anni. Tale interesse è invece rimasto sostanzialmente stabile per il 27,1% degli operatori, mentre solo una minoranza di ‘esperti’ si sbilancia favore di una diminuzione dell’interesse dei giovani verso la proposta di servizio civile (23,7%)”. Appare invece stabile, in riferimento alle caratteristiche socio-anagrafiche dei giovani coinvolti, l’età media dei volontari (secondo il 40,7% degli operatori intervistati). Allo stesso modo, il livello di istruzione appare sostanzialmente invariato, anche se la quota di operatori che sottolinea tale aspetto è inferiore rispetto a quella relativa alla stabilità dell’età media (35,6%). Cresce invece, secondo la percezione degli esperti intervistati la “debolezza economica dei giovani volontari” (per 62,7%), inoltre aumenta anche per il 67,8% di loro “il numero di giovani portatori di disagio psicologico-relazionale”. “È evidente – si legge nell’indagine – che tale fenomeno suscita una serie di problematiche, nei diversi livelli di inserimento del giovane all’interno del progetto di servizio civile. Soprattutto laddove il giovane evidenzia difficoltà personali di un certo rilievo, tali ambiti di vulnerabilità vanno opportunamente considerati e presi in carico e contribuiscono ad avvicinare il profilo personale del volontario a quello delle situazioni di cui si dovrebbe prende cura”.
Rispetto poi ai loro interessi diminuiscono nel complesso i ragazzi fortemente orientati a lavorare sulla “grave marginalità” (corrispondente alle categorie “senza dimora”, “tossicodipendenti” e “malati mentali”), aumentano invece in modo molto rilevante i giovani interessati a lavorare con gli immigrati e con minori/giovani in difficoltà.
In ogni caso, secondo la grande maggioranza degli operatori (78%), l’esperienza del servizio civile è stata molto utile per influenzare concretamente il futuro dei giovani, dopo il servizio civile. “Solo una ristretta quota di operatori, pari al 22%, afferma che il servizio civile abbia poca influenza sulle prospettive personali dei giovani (mentre appare significativo notare la totale assenza di risposte drasticamente negative)”, si spiega nel testo dell’indagine.
Positivo infine il ruolo svolto dal servizio civile riguardo l’interesse dei giovani ad impegnarsi in successive esperienze di volontariato, associazionismo e cittadinanza attiva: per il 76,3% degli intervistati esso “ha favorito soprattutto il grado di adesione ad attività di volontariato, seguito in secondo ordine dalla partecipazione ad attività di tipo associativo (69,5%). Meno significativa appare invece la dimensione del coinvolgimento dei giovani in esperienze di cittadinanza attiva, nell’ambito della lotta dei diritti (52,4% di risposte positive). Si tratta nel complesso di esperienze di partecipazione che non possono che favorire il livello di responsabilità e inserimento sociale dei giovani all’interno del territorio, contribuendo a ridurre il rischio di isolamento e marginalità sociale”. (FSP)
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