Da Redattoresociale.it
2 ottobre 2019
ROMA – Dopo il brusco stop nella precedente legislatura, si torna a parlare di riformare la legge che prevede l’acquisizione della cittadinanza italiana. In particolare, il prossimo 3 ottobre alla Camera riparte in Commissione Affari costituzionali l’esame della legge che introduce il principio dello ius culturae. Lo dice il presidente della Commissione Giuseppe Brescia (M5S), che sarà anche relatore alla riforma. Ma cos’è lo ius culturae? E chi potrebbe, realmente, beneficiarne?
Cos’è lo ius culturae?
Lo ius culturae (già presente in altri paesi come la Germania) è il principio che lega l’acquisizione della cittadinanza italiana al percorso scolastico. In particolare, per i figli degli immigrati, si prevede la frequenza di almeno un ciclo completo di scuola. In questo caso, nei fatti, per i ragazzi nati o cresciuti in Italia si accorcerebbero i tempi della richiesta. La legge 91/92 attualmente in vigore (e che si fonda sullo ius sanguinis, cioè sul diritto di discendenza da un italiano) prevede che chi nasce e /o cresce in Italia possa chiedere di diventare cittadino al compimento del 18° anno di età. Nel caso venisse introdotto il nuovo principio, la cittadinanza non sarebbe comunque concessa in maniera automatica, ma la famiglia del minore potrà anticipare la richiesta di qualche anno, senza aspettare la maggiore età. C’è da capire se il ciclo scolastico si riterrà concluso ai 13 anni di età ( scuola primaria e secondaria) o basterà un solo ciclo di 5 anni, quindi già alla fine delle elementari. E se verranno considerati anche i corsi di formazione. Il precedente progetto di riforma, approvato alla Camera, prevedeva anche il cosiddetto ius soli moderato, un principio secondo cui la cittadinanza poteva essere richiesta alla nascita per i figli degli stranieri lungosoggiornanti (permesso CE di lungo periodo, ex Carta di soggiorno). Ma questa parte della riforma, su cui si era molto dibattuto, probabilmente non verrà riproposta.
Quanti sono gli alunni stranieri nelle scuole italiane?
Secondo l’ultimo rapporto Immigrazione di Caritas italiana, Conferenza episcopale italiana (Cei) e Fondazione Migrantes, a scuola l’Italia del futuro esiste già: le classi sono, infatti, sempre più multietniche. Nell’anno scolastico 2017/2018 gli alunni stranieri erano 841.719 (9,7% della popolazione scolastica totale), in aumento di 16 mila unità rispetto all’anno scolastico 2017/2018. I dati attestano, inoltre, che ben il 63,1 per cento degli alunni stranieri (con cittadinanza non italiana) in realtà è nato in Italia (circa 307mila). In particolare, il settore della scuola primaria è ancora quello che registra il maggior numero di alunni con cittadinanza non italiana, ma nati qui. Secondo Vinicio Ongini, esperto di scuola, tra i curatori del rapporto, mentre si registra un aumento di bambini stranieri nella scuola primaria, in quella dell’infanzia c’è una flessione: questo anche a causa della crisi economica, che ha portato molte famiglie immigrate in Italia a spostarsi verso i Paesi del Nord Europa o a fare ritorno al Paese d’origine, mentre la crescita, seppure limitata, è sostenuta da una nuova tipologia di allievi, i minori stranieri non accompagnati, di cui non si conoscono i dati esatti nelle iscrizioni scolastiche.
Chi ne potrebbe beneficiare?
Da anni si parla di prediligere lo ius culturae, come nuova forma di acquisizione della cittadinanza, perché da una parte non rivoluzionerebbe del tutto la situazione, accorciando solo i tempi della richiesta. Ma anche perché legarlo al percorso scolastico vuol dire riconoscere il diritto alla cittadinanza ai figli di famiglie straniere che in Italia hanno deciso di stabilirsi. E cioè agli oltre 5 milioni di immigrati regolari che nel nostro paese vivono, lavorano e che qui mandano i figli a scuola. Si tratta in maggioranza di comunità storiche che hanno iniziato a insediarsi in Italia già dagli anni 90. Al 1° gennaio 2019 le comunità straniere più consistenti nel nostro paese sono quella romena (1.206.938 persone, pari al 23 per cento degli immigrati totali), quella albanese (441.027, 8,4 per cento del totale) e quella marocchina (422.980, 8 per cento ).Queste tre comunità sono ai primi posti anche nelle statistiche di acquisizione di cittadinanza. Al contrario, ogni volta che si riapre il dibattito sulla riforma lo si lega il tema ai flussi migratori, spesso evocando lo “sbarco delle partorienti”: sostenendo cioè che molti migranti verrebbero in Italia sono per far nascere qui i loro figli, che con la nuova legge diventeranno automaticamente italiani. In realtà la riforma è indirizzata a chi vive in Italia stabilmente e l’acquisizione non è automatica, ma serve una richiesta inoltrata dal genitore (che deve avere una residenza legale), oppure dall’interessato entro due anni dal raggiungimento della maggiore età. Riguardo ai possibili beneficiari la Fondazione Moressa nel 2017 aveva provato a stimare il numero dei ragazzi che avrebbero potuto richiedere la cittadinanza per ius culturae: su una platea di oltre 800mila alunni stranieri, a concludere almeno un ciclo scolastico nell’anno accademico in corso erano stati 200mila ragazzi. Va detto, inoltre, che non tutti i figli di immigrati, seppure nati e cresciuti in Italia, vogliono essere riconosciuti italiani: alcuni paesi di origine, infatti, non permettono la doppia cittadinanza. E alcune famiglie immigrate, per il legame con la madrepatria, preferiscono non far acquisire la cittadinanza ai figli anche quando ne hanno diritto.
Quante sono le acquisizioni di cittadinanza ogni anno?
Sempre stando ai dati del recente Rapporto Immigrazione 2019 nel corso del 2017 sono stati celebrati 27.744 matrimoni con almeno uno dei coniugi straniero, in aumento rispetto al 2016 (+8,3%). Nel 55,7 per cento dei casi si tratta dell’unione di uomini italiani con donne straniere. Nel 2018 sono nati 65.444 i bambini da genitori entrambi stranieri (14,9% del totale delle nascite), in calo rispetto al 2017 (-3,7%), anche per effetto della diminuzione dei nuovi arrivi, e quindi dei flussi femminili in entrata, con il risultato che la popolazione straniera residente in Italia si presenta “invecchiata” rispetto al passato. Inoltre, i dati al 31 dicembre 2018 relativi alle acquisizioni di cittadinanza ci dicono che sono in calo rispetto all’anno precedente (-23,2%), con 112.523 acquisizioni di cittadinanza di cittadini stranieri residenti. Negli ultimi anni la media delle persone che diventano italiane si attesta intorno alle 120mila unità. Di contro, negli ultimi 5 anni (dal 2014 a oggi) la popolazione è invecchiata e la perdita di cittadini italiani è stata pari alla densità di una grande città come Palermo (677 mila persone): una perdita compensata, nello stesso periodo, dai nuovi cittadini per acquisizione di cittadinanza (oltre 638 mila) e dal contemporaneo aumento di oltre 241 mila unità di cittadini stranieri residenti.
C’è il rischio di islamizzazione della società?
Tra coloro che sono contrari alla riforma della cittadinanza c’è chi sostiene il rischio di una islamizzazione della società italiana. In realtà secondo le più recenti stime, al 1° gennaio 2019 i cittadini stranieri musulmani residenti in Italia risultano 1 milione e 580 mila ( in aumento del due per cento rispetto al 2018), mentre, nel loro complesso, i cittadini stranieri cristiani residenti in Italia si stimano in 2 milioni e 815 mila (-4% rispetto al 2018) e mantengono ancora il ruolo di principale appartenenza religiosa tra gli stranieri residenti in Italia. In fortissima crescita risultano gli stranieri atei o agnostici, stimati in più di mezzo milione. Fra i cristiani in Italia 1 milione e 560mila sono ortodossi, 977mila cattolici, 183mila evangelici, 16mila copti e 80mila fedeli di altre confessioni cristiane. Principali comunità straniere musulmane risultano quella marocchina e quella albanese, mentre fra i cattolici troviamo quella romena e quella filippina.