Fidelizzare, essere credibili, comunicare, coinvolgere, motivare, ottimizzare energie e risorse: il terzo settore ha bisogno di innovazione tecnologica per crescere in modo sano e sostenibile e affrontare le sfide previste dalla riforma.
La tecnologia, infatti, ha cambiato radicalmente il modo di vivere, comunicare, imparare, guardare la TV, accedere ai servizi, fare acquisti, trovare risposte alle proprie necessità o curiosità e soprattutto ha cambiato le relazioni interpersonali. Per il non profit si aprono grandi opportunità ma anche grossi rischi per chi non riesce a stare al passo con i tempi, sia nella gestione interna che nei rapporti con l’esterno.
Trasparenza, lo chiede la riforma
La richiesta di trasparenza e di informazione nella gestione degli enti del terzo settore attraversa in più punti la nuova normativa. Basti pensare al tema dei bilanci sociali (art. 14 del Cts) la cui pubblicazione online è richiesta per legge per i Csv e per gli enti che superino ricavi, rendite, proventi o entrate superiori a 100mila euro l’anno. Alle reti associative la legge richiede l’utilizzo di strumenti informativi idonei a garantire conoscibilità e trasparenza in favore del pubblico e dei propri associati (art. 41). E più crescono le responsabilità, più aumentano gli obblighi di trasparenza: ai Csv, ad esempio si richiede di rispettare il principio di pubblicità e trasparenza nell’erogazione dei propri servizi, anche mediante modalità informatiche che ne assicurino la maggiore e migliore diffusione. Non ultimo il tema della pubblicazione dei contributi pubblici, il cui obbligo di pubblicazione sui propri siti è stato indicato dalla Legge sulla concorrenza n. 124 del 2017. La riforma nel suo insieme stipula con il terzo settore un vero e proprio patto di alleanza reciproca: più tutele e risorse a fronte di maggiore credibilità e obblighi.
La trasparenza e l’informazione sono uno degli obblighi richiesti. Il tema della trasparenza grazie al web intreccia anche la raccolta fondi e le donazioni. Il decreto che disciplina il 5 per mille lo dice in modo chiaro: i beneficiari delle erogazioni hanno l’obbligo di pubblicare sul proprio sito web gli importi percepiti ed il rendiconto (art. 18, dlgs 111 del 2017). E se il codice disciplina la raccolta fondi (art. 7) indicando ancora una volta il principio di “trasparenza e correttezza nei rapporti con i sostenitori e il pubblico”, crescono modalità nuove, spesso veicolate proprio grazie al web, come il crowdfunding. Secondo l’ultima indagine di Starteed, in Italia il crowdfunding rispetto al 2016 è cresciuto del 45%.
Comunicare sul web: motivare, coinvolgere ed essere credibili
Una delle principali rivoluzioni innescate dalla tecnologia interessa la comunicazione e la cura delle relazioni. Spesso non essere presenti sul web e sui social provoca sospetto e mancanza di credibilità. Ma il terzo settore, su questo, non sembra essere ancora pronto. L’ultima indagine di IID sull’andamento della raccolta fondi nel 2016 e le proiezioni del 2017 riporta un dato di massima abbastanza indicativo: più del 70% delle organizzazioni intervistate utilizza il proprio sito web per comunicare le proprie attività. Ma è ancora bassa la capacità di sfruttare a meglio le potenzialità digital: secondo l’indagine “Spot e Post del Terzo Settore. Modelli e prospettive della comunicazione sociale” realizzata dall’università Iulm e promossa da Mediafriends onlus di Mediaset, Mondadori e Medusa, e presentata lo scorso maggio, le organizzazioni non profit in Italia sono presenti soprattutto su Facebook e Youtube, ma non riescono a utilizzare in pieno le potenzialità dei social network. Su un campione di 800 realtà, il 63% ha una pagina Fb, il 32% ha aperto un canale su Youtube e il 24% ha un account su Twitter, ma nonostante i follower, non cresce l’interazione e l’engagement (ossia la capacità di suscitare una reazione da parte degli utenti): quando va bene è di 0,6 interazioni (mi piace o condivisioni, ecc) per ogni post. Manca ancora una buona capacità di suscitare emozioni e di utilizzare a pieno gli strumenti che permettono di creare connessioni con gli utenti e la comunità.
Ottimizzare energie e risorse: la professionalizzazione del terzo settore
Secondo gli ultimi dati del Censimento Istat diffusi lo scorso novembre, le istituzioni non profit in Italia sono oltre 300mila, 5,5 milioni di volontari e quasi 800mila dipendenti (precisamente 788mila), un dato in forte crescita rispetto al 2011 (+32,2%). Questo significa che al terzo settore ha bisogno di competenza e professionalizzazione, per rispondere in modo efficace a nuovi bisogni. Italia non profit ha realizzato una recentissima indagine su “Terzo Settore e Trasformazione Digitale. La prima analisi che indaga il rapporto tra i professionisti del non profit e il digitale”, intervistando operatori del sistema, interni o esterni al terzo settore, che vantano più di 5 anni di esperienza. Emerge una difficoltà di visione strategica sulle tematiche digitali, soprattutto da parte dei leader e della governance. Manca la consapevolezza delle potenzialità del digitale e, di conseguenza, una strategia chiara. Gli strumenti si usano in tutto ciò che si fa per il 23% degli operatori di enti intervistati (anche per quelli di più piccole dimensioni) ma per il 34% degli intervistati l’utilizzo manca di approccio strategico.
La maggior parte degli operatori che dichiarano di avere difficoltà di accesso agli strumenti digitali di base, lavorano per gli enti di piccolissime dimensioni, ma lo stesso problema si riscontra anche in alcune organizzazioni con entrate tra i 50mila e i 300mila euro. I consulenti che vogliono operare al fianco di enti di terzo settore lamentano la mancanza di realtà “digitalmente” sviluppate. In generale, se ci sono competenze abbastanza forti come quelle sui social network ed email marketing, risultano molto deboli altre aree come la seo e la cybersecurity.
Diversa anche la percezione tra collaboratori interni ed esterni. Per i primi il digital rappresenta un modo per incrementare raccolta fondi (56%) e sviluppo del network (39%), per i secondi il network ha maggiore peso (53%) e in seconda battuta si trova il perseguimento della strategia generale (37%). Per molte organizzazioni il digital non è percepito come un ambito prioritario, sia in termini di investimento di risorse che di competenze, anche se il futuro avrà molto a che vedere con temi come fundraising, seo e capacità di engagement soprattutto per le nuove generazioni. Non si discosta di molto la situazione delle imprese sociali. Dall’ultima indagine dell’Osservatorio Isnet, però, tra le voci di innovazione tecnologica presentate alle imprese, la digitalizzazione dei processi rimane quella su cui c’è maggiore consapevolezza dell’impatto per il futuro.
di Lara Esposito