Di Paolo Foschini
Da Corriere.it
11 aprile 2019
Questo articolo sarà pieno di numeri, ma non scoraggiatevi.
Perché la notizia che contiene, anticipiamola per bene, non è per niente un numero. È la conferma che non solo il volontariato serve, e siamo all’ovvio, ma che una «rete» per organizzarlo ci vuole. E che quella rete, per fortuna, esiste già. E che funziona, va solo fatta funzionare ancora meglio. La precisazione della notizia è che questa cosa non la dice né un opinionista né uno studioso, per i quali sarebbe una ovvietà. No: l’ha riconosciuta la legge. Il che non era ovvio per niente. E ora ricominciamo. In primo luogo, d’accordo: sono diminuiti come numero. Anzi dovranno diminuire ancora. Parliamo dei Csv, i Centri di servizio per il volontariato. Ma il punto è che il loro servizio non diminuirà, anzi. In secondo luogo, che poi è constatazione figlia del primo: non stava scritto da nessuna parte che la grande riforma del Terzo settore, dopo vent’anni di vita dei Csv, avrebbe confermato la necessità della loro esistenza.
Qualcuno in teoria avrebbe anche potuto dire: non servono. Oppure: diamo loro qualcosa di diverso da fare. Invece non solo il testo della riforma ma anche l’ente appositamente istituito per vigilare su questa parte della riforma stessa e cioè l’Onc, Organismo nazionale di controllo, hanno espressamente «riconosciuto sia il fatto che la nostra rete è necessaria sia l’importanza del suo compito specifico: vale a dire la promozione del volontariato come forma di cittadinanza. Non era scontato. Ed è un grande risultato». Il virgolettato è di Stefano Tabò, presidente di Csvnet, che per i non addetti ai lavori rappresenta appunto la rete di coordinamento tra tutti i Centri di servizio per il volontariato sparsi in Italia. Centri che in questi ultimi venti anni – quelli della loro vita – erano arrivati a essere 79, poi sono diventati 63, ma ora dovranno scendere a 49. È un «riassetto» in parte già iniziato, in parte da portare a conclusione. E costituisce solo un pezzo delle novità organizzative riguardanti questo settore per il quale i prossimi mesi saranno importantissimi. Vediamo i dettagli.
Il nuovo «assetto territoriale» dei Csv, definito dall’Onc lo scorso autunno, è basato sul «rapporto tra strutture e numero di abitanti» e ha lo scopo – per usare la sintesi di Massimo Giusti, segretario generale dell’Onc medesimo – di «rendere i Centri di servizio più efficienti». Già in quella sede era stato specificato che il riassetto «non inciderà sul radicamento dei Csv nel territorio» perché i «punti di servizio», insomma gli sportelli a cui enti del Terzo settore e volontari possono in concreto rivolgersi, sono 386 in Italia e non diminuiranno; mentre l’intento è quello di aumentare qualità e quantità dei servizi da loro forniti gratis (216mila nel 2017: di cui 25 mila iniziative di promozione, 2mila di formazione pari a 33 mila ore, 93mila consulenze, 78mila servizi logistici, 18mila servizi di comunicazione).
A doversi «fondere» quest’anno, almeno in sette regioni, saranno invece 25 Centri. In Liguria si uniscono i Csv di Imperia e Savona, in Veneto quelli di Belluno con Treviso e di Padova con Rovigo, mentre i Csv dell’Emilia Romagna passano da 9 a 4: Ferrara va con Modena, Forlì-Cesena con Ravenna e Rimini, Parma con Piacenza e Reggio Emilia. In Abruzzo ci sarà un solo centro regionale come risultato della fusione tra gli attuali quattro, in Puglia si fondono Brindisi e Lecce, Avellino e Benevento in Campania, in Calabria invece Catanzaro si unisce con Crotone e Vibo Valentia. Nessun cambiamento in altre undici Regioni: il Piemonte mantiene i suoi 5 Csv, la Sicilia i suoi tre, mentre Valle D’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Molise, Toscana, Marche, Basilicata e Sardegna, più le province autonome di Trento e Bolzano ne conservano uno a testa. Le tre regioni rimanenti la riorganizzazione l’hanno già fatta: in Lombardia si è passati da 12 a 6 centri, in Lazio e Umbria i centri sono scesi da quattro a due.
E veniamo ai soldi. I Csv sono finanziati con le risorse derivanti del Fondo unico nazionale (Fun) appositamente istituito dalla recente riforma del Terzo settore e alimentato da due fonti: le Fondazioni di origine bancaria che annualmente vi destinano almeno un quindicesimo dei loro utili e il credito di imposta riconosciuto dallo Stato alle Fondazioni stesse. A quantificare la distribuzione dei finanziamenti è l’Onc che nel 2018 li ha confermati come per l’anno precedente in poco più di 39 milioni di euro, di cui 10 sotto forma di credito d’imposta. A fronte di questo i Csv hanno svolto attività nel 2017 per un totale di 45,5 milioni facendo ricorso, per la differenza, alle altre fonti previste dalle legge: quali «contributi pubblici e privati, entrate derivanti da attività commerciali, bandi europei» e così via. L’appuntamento importante a questo punto è per il prossimo 15 luglio. Entro quella data tutti i Csv dovranno avere compilato la modulistica per la «manifestazione di interesse all’accreditamento» candidandosi così alla prosecuzione della propria gestione in base a quanto previsto dal Codice del Terzo settore. Oggi gli enti di Terzo settore che a tale gestione partecipano sono in tutto più di novemila. Al termine di tutte le verifiche necessarie l’Onc deciderà per l’accreditamento finale.