Sono giorni di attesa per tutto il terzo settore italiano. L’approvazione del parere sul Decreto correttivo sul Codice, già discusso nei giorni scorsi nelle audizioni alla XII commissione Affari sociali della Camera e Affari costituzionali del Senato, in scadenza entro il 2 agosto, potrebbe essere rimandata di almeno altri 4 mesi con la modifica prevista dal disegno di legge presentato dai senatori Romeo e Patuanelli e già passato al Senato lo scorso 18 luglio. Una proposta di soli due articoli che punta a posticipare di quattro-sei mesi l’approvazione di tutte le modifiche ai decreti legislativi della riforma (legge 106/2016), altrimenti previsti entro un anno dalla loro pubblicazione (per il Codice la scadenza è il 2 agosto 2018). Prendere tempo, quindi, per ridiscutere alcuni punti della Riforma ma lasciando in sospeso l’intero sistema, che già attende da tempo numerosi decreti attuativi per rendere operativa la riforma, così come spiegato nell’approfondimento sul “cantiere della riforma” a cura di CSVnet.
Una proposta per uscire da questa impasse è stata avanzata dal Forum nazionale del terzo settore con una lettera aperta inviata ieri al Governo e ai presidenti delle due commissioni parlamentari interessate, in cui si chiede l’approvazione di un primo decreto correttivo entro il 2 agosto che permetta al sistema di andare avanti, sciogliendo anzitutto le incertezze sul funzionamento delle associazioni, il trattamento fiscale e la proroga dei tempi per gli adeguamenti statutari, e sbloccando l’iter di approvazione del decreto sulle attività secondarie (art. 6 del dlgs 117/2017).
Una situazione, quindi, in continua evoluzione, su cui è intervenuto anche il senatore Pd e presidente uscente del Centro nazionale per il volontariato Edoardo Patriarca in un’intervista a Vita.it, sottolineando che per approvare in tempo i correttivi al codice l’obiettivo del partito è di bloccare il ddl alla Camera e procedere spediti nelle Commissioni con i voti. “Abbiamo chiesto che i pareri vengano dati a prescindere dalla proroga – spiega Patriarca –. Il parere del relatore in I Commissione è in gran parte fatto di osservazioni condivisibili che erano già state sollevate durante i lavori del Governo precedente. Il nodo politico più preoccupante su cui ci opporremo è che destruttura, in nome del famoso ricorso della Lombardia e del Veneto, la governance dei Csv”.
Il 9 ottobre 2017, infatti, le due regioni settentrionali hanno presentato alla Corte costituzionale due ricorsi sull’incostituzionalità del codice del terzo settore che si ricalcano l’un l’altro e rivendicano sostanzialmente l’incostituzionalità di alcuni articoli che riguardano anche il futuro dei centri di servizio per il volontariato.
Cosa prevedono i ricorsi di Veneto e Lombardia sul Codice
Il primo articolo in discussione è il numero 64, comma 1 con oggetto l’Onc, che definisce la natura e la composizione dell’Organismo nazionale di controllo dei Csv. Secondo i ricorrenti, la definizione riportata dal codice di “fondazione con personalità giuridica di diritto privato, costituita dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali” non è in linea con la sua stessa natura. Pur essendo un ente di diritto privato, infatti, riveste una funzione decisiva e decisoria per il terzo settore, è costituito con un atto amministrativo, ha poteri sanzionatori rispetto al sistema e ha una composizione predeterminata ex lege.
Il punto della questione riguarda soprattutto la composizione dell’Onc, definita nel secondo comma, che su 13 componenti, ne assegna solo uno alla Conferenza Stato-Regioni. Su queste premesse, Lombardia e Veneto rivendicano un corto circuito tra l’influenza dell’Onc che, attraverso i Csv, influenzano significativi ambiti di competenza regionale, e la rappresentanza territoriale nella governance. Si tratta soprattutto di settori come la tutela della salute, sotto forma di erogazione di prestazioni e servizi sanitari, dei servizi sociali, del turismo, della valorizzazione dei beni culturali etc.
Tra le attribuzioni troppo “centralistiche” a detta dei ricorrenti, ci sono la definizione del numero dei Csv accreditabili per regione e la gestione del contributo previsto dalle Fondazioni di origine bancarie (Fob) e destinato al Fun, il fondo unico nazionale. L’articolo 61 del codice attribuisce all’Onc la ripartizione del numero dei Csv sul territorio. Secondo i ricorrenti, i centri lavorano al servizio del terzo settore, ma nella decisione sulla loro determinazione sul territorio non sono coinvolte in modo sufficiente le Regioni, che rivendicano invece un “ruolo partecipativo, istruttorio e codecisorio” violando il principio della leale collaborazione di cui all’articolo 20 della Costituzione.
Ancora più spinosa la questione relativa al finanziamento dei Csv, affidata secondo il comma 7 dell’articolo 62 sempre all’Onc. Il punto è sempre lo stesso: decisioni nazionali con un impatto regionale. Secondo Patriarca, dare alle regioni la discrezionalità sui Csv “oltre a delegittimare CSVnet farebbe saltare l’accordo tra Forum e Acri per quanto riguarda il fondo di perequazione. Un sistema che oggi dà la possibilità anche alle Regioni del sud, dove non ci sono fondazioni bancarie, di far vivere i Csv. Con questa scelta non sarebbe più così”. Il riferimento di Patriarca è al meccanismo di equità nazionale definito grazie ai commi 5 e 11, che permette di sostenere la crescita del volontariato nelle regioni meridionali e, di conseguenza, la crescita e qualificazione del terzo settore.
Per Lombardia e Veneto, inoltre, l’articolo 65 sulla gestione degli Otc, organismi territoriali di controllo, non risolverebbe la questione in quanto “non solo sono soggetti privi di autonoma soggettività giuridica, ma svolgono compiti [indicati dall’articolo 65, comma 7] meramente esecutivi ed istruttori, privi di ogni rilevanza decisoria”.
Ultimo punto di scontro, il Fondo per il finanzamento di progetti e attività di interesse generale nel Terzo settore (articolo 72). Quello che i ricorrenti definiscono un “eccesso di delega” investirebbe anche questo provvedimento perché il fondo statale inciderebbe in modo significativo su ampi settori affidati di competenza regionale. Si rivendica ancora, il mancato coinvolgimento nella programmazione per la gestione di questi fondi e del loro riparto, in mano solo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Respinto invece il ricorso delle regioni sul servizio civile
L’attacco di Veneto e Lombardia alla riforma del terzo settore non aveva riguardato solo il Codice. Nello stesso periodo avevano infatti presentato un altro ricorso contro alcune norme del dl 40/2017 sul servizio civile universale. È notizia di ieri, però, il respingimento di questo ricorso da parte della Corte Costituzionale, che ha precisato la potestà statale degli aspetti organizzativi e procedurali del servizio civile. Anche in questo caso, le due regioni rivendicavano lo scarso coinvolgimento regionale nella programmazione e adozione dei piani operativi. Secondo quanto si legge nel comunicato stampa della Cnesc, Conferenza nazionale enti servizio civile, “con la sua sentenza la Corte ha ribadito che il servizio civile è una forma di difesa civile e non armata della patria sancita dall’art. 52 della Costituzione (concetto, questo, espresso per la prima volta nel lontano 1985, ma che ancora fa fatica ad essere accettato da tutti) e pertanto rientra tra le materie di esclusiva potestà statale. La Corte ha inoltre affermato che in tale esclusiva potestà statale rientrano anche gli aspetti organizzativi e procedurali del servizio mentre quelli concernenti i vari settori materiali restano soggetti alla disciplina regionale, nel rispetto però delle linee d’indirizzo nazionali in modo da garantire uniformità a tutti i progetti di servizio civile”.
di Lara Esposito